Lettera al mio dolore in un giorno di sofferenza

 

Sto male.
Sì, sto proprio male.
Di solito sono sempre quel tipo di persona che ride anche nelle peggiori sventure, che in questi sei anni di dolore non ha smesso un giorno di vedere il lato positivo.
Eppure, sembra che proprio per questo sia stata punita e che il dolore si diverta a sfidarmi per vedere chi dei due ha la meglio sull’altro.
E in questi momenti come si fa? Come si resiste ancora dopo anni di sofferenza? Non lo so e devo scoprirlo, anche se il dolore cronico, specialmente se così grave, ti toglie ogni energia. In questo momento ho così poche energie da avere addirittura la febbre, perché il mio corpo soffre talmente tanto da mandarmi qualsiasi segnale pur di farmelo capire. Ma io l’ho capito e lo ascolto, è questo il problema!
Eppure, il dolore cronico consiste proprio in una patologia del sistema nervoso centrale che invia allarmi anche quando non ce n’è bisogno, anche quando io mi sto già prendendo cura di me stessa.
È questo che significa avere un corpo in perenne iper-allerta: soffrire sempre di più, con segnali sempre più potenti, come se non avessi già bloccato la tua vita per lui.
Ed ecco il peggior sintomo del dolore persistente: non riuscire a fare niente!
Ho voluto iscrivermi a degli esami in questa sessione con l’intento di non permettere al dolore di portarmi via ogni aspetto della mia vita, eppure ora sono in una condizione tale da non essere neanche in grado di tenere un foglio in mano. Questo è duro da accettare ed è dura anche la costante solitudine che ti perseguita giorno e notte quando vivi in questa condizione, estraniato dal mondo intero.

Perciò, ti prego dolore, io ti ho ascoltato, quindi ora lasciami in pace. Voglio solo vivere senza soffrire, senza urlare e piangere dal dolore ogni istante delle mie giornate. Perché questa non è vita, è semplice sopravvivenza. Ed io non voglio più sopravvivere, bensì stare bene, come tutti si meritano! Per favore, rinuncia a sfidare il mio sorriso e fai in modo che sia lui a vincere.

***

Normalizziamo l’idea di non vergognarsi di ammettere di stare male, sia fisicamente che mentalmente, bensì di sfruttarla come modalità per aiutare gli altri, per condividere il proprio dolore e sensibilizzare tematiche che non tutti conoscono, come quella del dolore cronico.

In tutto questo percorso, ho scoperto che raccontare la propria sofferenza può aiutare a capire come affrontarla ed essere uno spunto per gli altri nel caso, malauguratamente, stiano vivendo il tuo stesso problema o qualcosa di simile.

Tenersi dentro ciò che si prova non è utile, è solo un modo per auto-distruggersi lentamente. Al contrario, accettare che i periodi bui esistono e manipolarli per dare un valore positivo, può fare la differenza, anche nel modo in cui li si vive.

Perciò sì, sto soffrendo e non me ne vergogno, anzi, comprendo di essere stata estremamente sfortunata, quindi voglio sfruttare il mio percorso di cure sbagliate e di estremi dolori per far conoscere la mia malattia in tutte le sue sfaccettature e insegnare come prenderla in tempo per evitare di arrivare ad un livello troppo grave, anche dal punto di vista emotivo. Oppure, semplicemente, farla conoscere con l’intento di essere in grado, un giorno, di saper aiutare coloro che ne soffrono, per farli sentire meno soli.

Valeria T.

24 maggio 2024

leggi anche in questo sito: Storia di Valeria: la lotta contro un mostro invisibile

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