Diritto alle cure e accesso alla terapia del dolore nei penitenziari italiani: riflessioni per un percorso virtuoso

Pubblichiamo in anteprima un articolo del prof. Stefano Coaccioli e dell'Avv. Francesca Sassano che apparirà sul prossimo numero di Dolore aggiornamenti clinici. La versione in lingua inglese, rivista e ampliata, sarà inviata a “La Clinica Terapeutica” per la valutazione peer review e la pubblicazione.

INTRODUZIONE

La Città di Potenza vedrà a breve lo svolgersi del “Primo Convegno Nazionale di Sanità Penitenziaria Transdisciplinare” – intitolato: “Benessere in ambiente di cura per utenti sottoposti a pena detentiva”, ideato e organizzato da uno di noi (FS) – nell’ambito del quale sarà svolta una lettura che ha come tema ciò che è indicato nel titolo: un percorso virtuoso che vuole individuare, disegnare e proporre non solamente il diritto alle cure sensu latu, ma soprattutto l’accesso alla terapia del dolore nei Penitenziari del nostro Paese.

Le riflessioni che abbiamo condiviso riguardano e si suddividono (ça va san dire) in due temi cruciali: il diritto alle cure – articolato nella legislazione vigente e nelle prospettive organizzative che ne fanno seguito e lo scenario scientifico, clinico e terapeutico, rappresentato dalla moderna metodologia clinica, dalle conoscenze e dalle opportunità nella Medicina del dolore: dalla epidemiologia alla fisiopatologia, dai quadri clinici alle Leggi che garantiscono l’accesso alla terapia del dolore, fino agli aspetti etici che riguardano, strictu sensu, il dolore cronico stesso – inteso come malattia con pieno diritto nosografico.

LEGISLAZIONE

L'articolo 32 della Costituzione dispone: "La Repubblica tutela il diritto alla salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti" (1).

Il diritto alla salute di coloro che si trovano in condizione di privazione della libertà trova quindi tutela e garanzia quale diritto inviolabile della persona. Il servizio sanitario all'interno degli istituti penitenziari è previsto anche dalle Regole Minime dell'O.N.U. per il trattamento dei detenuti, approvate il 30 agosto 1955 (artt. 22-26) (2) e ribadite dal Consiglio d'Europa il 19 gennaio 1973 (3).

L'Amministrazione Penitenziaria applica le norme della legislazione italiana relative all'assistenza sanitaria dei detenuti. L'articolo 11 della legge sull'Ordinamento penitenziario (Legge 354 del 1975) (4), stabilisce che ogni Istituto Penitenziario sia dotato di "servizio medico e servizio farmaceutico rispondenti ad esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati e che disponga di almeno uno specialista in psichiatria". Lo stesso articolo 11 prevede che, nell'ipotesi in cui gli interventi diagnostici o terapeutici, non possano avvenire nell'ambito dell'Istituzione Penitenziaria, sia consentito il trasferimento del Paziente-Detenuto in Ospedale o in altro luogo esterno di cura.

L'assistenza sanitaria può dunque essere organizzata «in collaborazione con i servizi pubblici sanitari locali ospedalieri ed extraospedalieri, d'intesa con la Regione e secondo gli indirizzi del Ministero della Sanità». Anche l'articolo 7 della Legge 296 del 1993 prevede l'istituzione di reparti ospedalieri destinati ad ospitare i Detenuti per la cura delle patologie che non possono essere affrontate in ambiente penitenziario (5).

È noto come il dolore cronico possa modificare profondamente lo stato psicologico delle persone, inducendo una grave depressione nel 24% dei casi, stato di insonnia, inappetenza, complicate da stanchezza muscolare: uno stato che drammaticamente nel 16% dei casi può concludersi con suicidio.

La non ancora completa applicazione della Legge 38 del 15 marzo 2010 (6), pone quindi tre cruciali domande rilevanti per la nostra riflessione: 1. Può uno stato permanente di dolore influire negativamente sull’evoluzione dei programmi tesi al recupero sociale? 2. Può il dolore con la relativa co-morbosità depressiva, sottendere a gesti suicidari aggravando la sconsolazione della pena? 3. Può la disabilità che il dolore genera, sottrarre alla possibilità di partecipare alla vita lavorativa con continuità e regolarità, condizionare la capacità di inserimento nel lavoro ordinario, spingendo quindi a delinquere?

Accogliere ed applicare i dettami della Legge 38 del 15 marzo 2010 negli Istituti Penitenziari italiani non equivale solo ad un dovuto controllo del dolore ed il successivo ripristino di una vita migliore che difende il diritto di cura, ma è anche una formidabile opportunità di recuperare il desiderio di cambiare la propria vita. Questo programma non deve essere però affidato a soggetti esterni, ma a chi vive ogni giorno la realtà penitenziaria, sia professionali che tecnici, maturando chiaramente le dovute competenze.

Francesca Sassano ha pubblicato due opere su questo tema (7-8) e sviluppato un’ulteriore riflessione su come il dolore venga trattato all’interno degli Istituti Penitenziari, reputando come «sia necessario sviluppare all’interno di questi spazi, destinati ad adempiere la propria vocazione di recupero sociale, un programma di prevenzione e di cura del dolore».

IL DOLORE CRONICO

La fisiopatologia del dolore e la sua relativa cronicizzazione sono temi che ricevono ogni anno così tante nuove evidenze che il dolore cronico è stato recentemente riconosciuto – de facto – come un quadro nosografico con pieni diritti (9). Tutto ciò è sostenuto da ampie casistiche che individuano il dolore cronico come una delle patologie più diffuse nella popolazione generale (10). Non è questo il luogo per esaminare e illustrare in modo esaustivo la fisiopatologia del dolore, ma si è ritenuto ricordare ancora una volta le conseguenze di un dolore cronico non-rilevato, non-misurato e non-trattato presentano. Conseguenze cliniche a livello sistemico: aumento del rischio di cardiopatia ischemica e di infarto del miocardio, di affezioni polmonari, di alterazioni della funzione gastroenterica, senza contare il peggioramento della qualità vita, la riduzione del tono dell’umore – fino a veri e propri quadri di depressione, l’alterazione delle capacità cognitive e l’autostima.

ACCESSO ALLA TERAPIA DEL DOLORE

La Legge 38 del 15 marzo 2010 (6) è ben nota anche se non ancora applicata in tutti i setting assistenziali e da ciò discende una scarsa cura del Paziente con dolore cronico. La Legge che ha istituito il Comitato Ospedale-Territorio senza Dolore (11) ha voluto definire gli ambiti assistenziali e le discipline coinvolte per un continuum di cure che, a partire dal mero e breve ricovero ospedaliero deve trovare una precisa continuità una volta che la degenza è terminata ed il Paziente avrà fatto ritorno alla propria residenza. Il Codice Etico per il Dolore (12) infine, disegna gli spazi di collaborazione e di divulgazione, promuove la ricerca di base e la ricerca clinica, individua le modalità di implementazione delle conoscenze fra i molteplici “attori” che hanno come scopo una sempre migliore assistenza al Paziente con dolore.

CONCLUSIONI

A conclusione delle nostre riflessioni, riteniamo dunque che debbano essere presi in considerazione e di conseguenza essere pienamente applicati i seguenti dettami: osservare la legislazione riguardo le cure in generale e la terapia del dolore in particolare; conoscere sempre meglio la fisiopatologia delle diverse tipologie di dolore; adeguare la terapia farmacologica e non-farmacologica alle diverse tipologie di dolore; applicare compiutamente quanto previsto dalla Legge 38/2010 e dalle disposizioni espresse nella Gazzetta Ufficiale n.149/2001; perseguire infine, una corretta Etica del Dolore per realizzare un percorso virtuoso volto finalmente a garantire il diritto alle cure e l’accesso alla terapia del dolore nei Penitenziari italiani.

Francesca Sassano, Avvocato Cassazionista – Foro di Potenza. Potenza, Italia

Stefano Coaccioli, Presidente della European League Against Pain – Zurich, Switzerland

Bibliografia e note a margine

1. Costituzione della Repubblica Italiana. Articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge

2. Regole Minime dell'O.N.U. per il trattamento dei detenuti (approvate il 30 agosto 1955): Le regole che seguono non intendono descrivere in modo minuzioso un sistema penitenziario modello, ma soltanto stabilire, ispirandosi a concetti oggi generalmente accettati e alle parti essenziali dei migliori sistemi contemporanei, i principi generali e le regole minime di una buona organizzazione penitenziaria e di una buona pratica di trattamento dei detenuti.
È evidente che non tutte le regole possono essere applicate in ogni luogo e in ogni tempo, data la grande varietà di condizioni giuridiche, sociali, economiche e geografiche esistenti nel mondo. Esse dovranno tuttavia servire a stimolare lo sforzo costante diretto a superare le differenze pratiche che si oppongono alla loro applicazione, tenendo presente che esse rappresentano, nel loro insieme, le condizioni minime ammesse dalle Nazioni Unite. D'altra parte, queste regole si riferiscono a campi nei quali il pensiero è in costante evoluzione, e non intendono escludere la possibilità di esperienze pratiche, purché queste siano in accordo con i principi e gli obbiettivi risultanti dal testo delle "Regole". Con questo spirito, l'Amministrazione penitenziaria centrale potrà sempre autorizzare eccezioni alle regole stesse. La prima parte delle "regole" tratta di quelle concernenti l'amministrazione, in generale, degli stabilimenti penitenziari, ed è applicabile ad ogni categoria di detenuti, penali e civili, imputati o condannati, compresi i detenuti sottoposti a misura di sicurezza o a misura rieducativi ordinata dal giudice. La seconda parte contiene regole che non sono applicabili se non alle categorie di detenuti previste da ogni singola sezione. Tuttavia, le regole della sezione A, applicabili ai detenuti condannati, saranno ugualmente applicabili ai detenuti previsti dalla sezione B, C e D, purché non siano incompatibili con quelle che li riguardano specificamente, e siano favorevoli a questi detenuti. Queste regole non si occupano dell'organizzazione degli stabilimenti per i minori delinquenti (stabilimenti Borstal, istituti di rieducazione etc.). Tuttavia, in via generale, la prima parte delle "Regole" può considerarsi applicabile anche a questi tipi di stabilimenti. La categoria dei "minori detenuti" deve comprendere, in ogni caso, i minori soggetti alla giurisdizione minorile. In via di massima, questi non dovranno essere condannati a pene detentive
.

3. Consiglio d'Europa il 19 gennaio 1973 … L’espiazione della pena deve essere improntata ai criteri di umanità, salvaguardando la dignità e i diritti spettanti ad ogni persona, che la rieducazione del detenuto e il suo reinserimento sociale rappresentano lo scopo principale dell’espiazione della pena e che ogni Stato deve impegnarsi nella prevenzione della criminalità.

4. Legge 354 del 1975 (articolo 11). Il servizio sanitario nazionale opera negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni nel rispetto della disciplina sul riordino della medicina penitenziaria. Garantisce a ogni istituto un servizio sanitario rispondente alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati. La carta dei servizi sanitari di cui al decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, per i detenuti e gli internati, adottata da ogni azienda sanitaria locale nel cui ambito è ubicato un istituto penitenziario, è messa a disposizione dei detenuti e degli internati con idonei mezzi di pubblicità. Ove siano necessarie cure o accertamenti sanitari che non possono essere apprestati dai servizi sanitari presso gli istituti, gli imputati sono trasferiti in strutture sanitarie esterne di diagnosi o di cura, con provvedimento del giudice che procede. Se il giudice è in composizione collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente. Prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari; provvede il pubblico ministero in caso di giudizio direttissimo e fino alla presentazione dell'imputato in udienza per la contestuale convalida dell'arresto in flagranza. Se è proposto ricorso per cassazione, provvede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Per i condannati e gli internati provvede il magistrato di sorveglianza. Il provvedimento può essere modificato per sopravvenute ragioni di sicurezza ed è revocato appena vengono meno le ragioni che lo hanno determinato. … All'atto dell'ingresso nell'istituto il detenuto e l'internato sono sottoposti a visita medica generale e ricevono dal medico informazioni complete sul proprio stato di salute. Nella cartella clinica il medico annota immediatamente ogni informazione relativa a segni o indici che facciano apparire che la persona possa aver subito violenze o maltrattamenti e, fermo l'obbligo di referto, ne dà comunicazione al direttore dell'istituto e al magistrato di sorveglianza. I detenuti e gli internati hanno diritto altresì di ricevere informazioni complete sul proprio stato di salute durante il periodo di detenzione e all'atto della rimessione in libertà. Durante la permanenza nell'istituto, l'assistenza sanitaria è prestata con periodici riscontri, effettuati con cadenza allineata ai bisogni di salute del detenuto, e si uniforma ai principi di metodo proattivo, di globalità dell'intervento sulle cause di pregiudizio della salute, di unitarietà dei servizi e delle prestazioni, d'integrazione dell'assistenza sociale e sanitaria e di garanzia della continuità terapeutica. Il medico del servizio sanitario garantisce quotidianamente la visita dei detenuti ammalati e di quelli che ne fanno richiesta quando risulta necessaria in base a criteri di appropriatezza clinica. L'Amministrazione penitenziaria assicura il completo espletamento delle attività sanitarie senza limiti orari che ne impediscono l'effettuazione. Il medico competente che effettua la sorveglianza sanitaria della struttura penitenziaria, secondo le disposizioni attuative del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, controlla l'idoneità dei soggetti ai lavori cui sono addetti. In ogni istituto penitenziario per donne sono in funzione servizi speciali per l'assistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere. Quando i detenuti e gli internati sono trasferiti è loro garantita la necessaria continuità con il piano terapeutico individuale in corso. Ai detenuti e agli internati che, al momento della custodia cautelare in carcere o dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione, abbiano in corso un programma terapeutico ai fini di cui alla legge 14 aprile 1982, n. 164, sono assicurati la prosecuzione del programma e il necessario supporto psicologico.

5. Legge 296 del 1993 (articolo 7) … L'istituzione di reparti ospedalieri destinati ad ospitare i detenuti per la cura delle patologie che non possono essere affrontate in ambiente penitenziario.

6. Legge 15 marzo 2010, n. 38. Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. (10G0056)”(Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.65 del 19 marzo 2010). Nota: entrata in vigore del provvedimento il 3 aprile 2010

7. Sassano F., Cristilli L. Carceri, territorio senza dolore. La latitanza della legge 38/2010. 1° luglio 2015. Amazon.it. ISBN-10: ‎889911207X; ISBN-13: 978-8899112073.

8. Sassano F., Cristilli L. Come applicare la legge contro il dolore nel sistema penitenziario e non. La legge 38 del 15 marzo 2010. Maggioli Editore 2016.

9. International Classification of Diseases 11th Revision

10. Del Giorno, Coaccioli S., et al. Assessment of chronic pain and access to pain therapy: a cross-sectional population-based study. J Pain Res 2017; 10:2577-84.

11. Coaccioli et al. An ethics code for pain. Eur J Pain 2012; 16(8):1081-3.

12. Legge 454 del 30.12.2004: “Determinazioni per la costituzione del comitato ospedale senza dolore (COSD) presso le strutture sanitarie di ricovero e cura e adozione del “manuale applicativo per la realizzazione dell'ospedale senza dolore” esplicitando compiti e obiettivi”.

 

 

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